Onorevoli Colleghi! - La questione energetica, e quella ambientale ad essa connessa, sono spesso al centro di dibattiti non soltanto in ambito nazionale, ma sempre più spesso su scala globale. È certo nostra responsabilità interrogarci su quanto possa influire la combustione di minerali fossili sul clima o sulle reali cause di eventi climatici epocali quali gli uragani che hanno colpito le coste dell'America centrale nell'estate del 2005 e lo scioglimento di parti sempre più consistenti dei ghiacciai polari, solo per portare qualche esempio. Se la scienza tende ad indicare come devastante la massiccia emissione di anidride carbonica, è pur vero che devono essere tutelati, al tempo stesso, interessi economici che vanno considerati rilevanti. La richiesta di incentivi alla crescita non sempre si sposa con misure, spesso dolorose, atte alla riduzione delle emissioni inquinanti, quali le giornate di blocco delle auto. Nonostante questo, come asserivano i latini, pacta servanda sunt.
      Il Protocollo di Kyoto, che l'Italia ha reso esecutivo con la legge n. 120 del 2002, firmato nel 1997 come strumento attuativo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, approvata a New York il 9 maggio 1992, impegna a limitare le emissioni annue di gas serra del 5,2 per cento rispetto ai valori del 1990 in un lasso di tempo compreso tra il 2008 e il 2012. L'obiettivo assunto dall'Unione europea è la riduzione dell'8 per cento, mentre per l'Italia il fine è di raggiungere il 6,5 per cento nelle limitazioni. Tale risultato è da considerare difficilmente raggiungibile, allo stato attuale, se non tramite il miglioramento dei processi produttivi e industriali e l'incremento della quota di produzione di energia derivante da fonti rinnovabili.
      Peraltro, il Parlamento europeo ha indicato, nella propria relazione «Sulla

 

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quota di fonti energetiche rinnovabili nell'Unione Europea e le proposte di azioni concrete» del 6 luglio 2005 (2004/2153(INI)), la situazione delle politiche in materia di energie rinnovabili in Europa, confermando quanto già formulato dalla Commissione nel Libro bianco «Energia per il futuro: le fonti energetiche rinnovabili» e nel Libro bianco «La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte», riconoscendo che la produzione di energie rinnovabili, oltre a essere la risposta ai problemi ambientali, offre l'opportunità di garantire, nel contempo, il reddito agricolo, di creare posti di lavoro, di proteggere la natura e di produrre energia pulita. L'utilizzo delle suddette forme di energia, inoltre, consentirebbe un approvvigionamento di energia costante per quantità e prezzi, oggigiorno non più del tutto scontato, alleggerendo l'aggravio della bilancia commerciale. Come ultimo effetto, infine, si determinerebbe un effetto positivo sul rilascio di anidrite carbonica, con il raggiungimento graduale delle quote stabilite nel Protocollo di Kyoto.
      Ruolo privilegiato tra le fonti di energia rinnovabili deve essere attribuito, come concordano le relazioni dello stesso Parlamento europeo, all'utilizzo delle biomasse agricole, l'unico che, tramite un rapporto sinergico tra agricoltura e industria, potrebbe costituire fonte di rilancio per l'economia in generale, consegnando alla tutela ambientale, spesso percepita dal settore secondario come un gravame di vincoli e di restrizioni, il ruolo di volano per lo sviluppo, liberando gli Stati dalla lotta per l'accaparramento delle fonti energetiche. Le suddette biomasse, ossia la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall'agricoltura e dalla silvicoltura, consentirebbero, a differenza di altre fonti energetiche sia convenzionali, sia rinnovabili, di essere meno dipendenti da cambiamenti climatici, di favorire la creazione di vere e proprie strutture regionali e, fattore non trascurabile, di attivare sbocchi alternativi al settore primario.
      L'imprenditore o l'agricoltore che decide di scommettere sulle biomasse si trova, tuttavia, in Italia a dover far fronte ad una situazione disarmante. Non è ravvisabile, nel susseguirsi di legislazioni vaghe, lacunose se non altalenanti, una strategia duratura e determinata che definisca con chiarezza l'impegno dello Stato sul piano fiscale, progettuale ed esecutivo a favore del perseguimento di una politica d'impiego dei biocombustibili, i carburanti ricavati da biomassa.
      La presente proposta di legge si prefigge, perciò, di definire, in questo quadro d'incertezza, una più decisa e definita strategia da perseguire e più specificamente di definire, nell'ambito della politica comunitaria e nazionale in materia di energia, specifici interventi per il settore, individuando le linee guida generali, le azioni da intraprendere e gli impegni da parte dei vari operatori, cercando di favorire al massimo grado metodi di concertazione tra gli attori del sistema, di assoluta trasparenza e di programmazione al tempo stesso flessibile e duratura.
      A tale fine si appronta una rete integrata di supporto, a livello amministrativo, economico e fiscale, che, da un lato, garantisca l'attuazione di misure efficaci in materia di gestione della domanda di energia e, dall'altro lato, rappresenti una strategia coerente e globale in grado di coprire aspetti di politica ambientale, energetica, agricola e fiscale.
      Di prioritaria importanza, in primis, sono gli interventi di defiscalizzazione, e l'individuazione - da concertare anche a livello locale - dei cosiddetti «sbocchi di mercato» per i biocombustibili, quale può essere quello dei trasporti pubblici. Le metodologie applicative per la realizzazione di tali scopi si definiscono in accordi di programma con le amministrazioni, ma soprattutto intese e contratti di filiera tra operatori del settore, facendo valere il principio della sussidiarietà e incentivando al massimo grado l'iniziativa privata.
      La scelta dei suddetti accordi si rende indispensabile nel tentativo, allo stato embrionale cui ci si trova di fronte, di dare un iniziale incentivo alla produzione, con la garanzia di equità dei prezzi e la certezza di assorbimento di un nuovo bene
 

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nel mercato. Si costituisce, pertanto, l'onere per regioni, province autonome ed enti locali di garantire un utilizzo minimo di biocarburanti, in primo luogo nei trasporti e nel riscaldamento degli immobili. Per ciò che concerne, invece, la stipula di intese di filiera e di contratti quadro si utilizzano gli strumenti posti in essere dal decreto legislativo n. 102 del 2005, oltre a promuovere strutture associative tra primario, secondario e operatori di filiera.
      Per ciò che concerne il finanziamento della legge, respingendo la logica del passato di massicci interventi pubblici sia per la sottrazione di spazio alla libera impresa, sia per vincoli di equilibrio di bilancio, la presente proposta di legge si basa su un sistema di incentivi, rendendo meno gravose le accise sui carburanti di origine vegetale, e di modalità di finanziamento degli investimenti che consentano un'armonizzazione tra gli impegni di spesa con i ritorni attesi in termini di aumento del gettito fiscale connesso all'avvio delle nuove attività produttive. Quest'ultimo si colloca nell'ottica di fronteggiare il costo dell'investimento facendo ricorso alla liquidità del sistema bancario, con l'assunzione da parte dello Stato di una garanzia sussidiaria e di un onere marginale, corrispondente alla sola riduzione del tasso di interesse per il preammortamento. I costi per lo Stato, pari comunque a quanto consentito dalla normativa vigente, si distribuiscono su dieci anni, a partire dal collaudo dell'impianto e possono considerarsi compensati dal gettito fiscale originato dalle attività industriali.
      Tale sistema di incentivo e di finanziamento, oltre a rispettare le disposizioni nazionali e comunitarie in materia e ad evitare oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, va a creare un sistema completo e di lungo periodo, tramite il quale possa realizzarsi un compiuto sistema di produzione e di assorbimento dei biocombustibili in Italia.
      Imprescindibile conclusione di una legge di tale portata deve essere tuttavia la ricerca, in modo da consentire un maggiore sviluppo, un abbattimento dei costi e la selezione di colture, attualmente non diffuse, in grado di ottimizzare le produzioni nel rispetto dell'ambiente.
      Queste sono le ragioni che dovrebbero spingere il Parlamento a farsi carico di accettare questa scommessa. Lanciare l'Italia in un mercato nuovo, che potrebbe essere la spinta propulsiva che la nostra agricoltura, la nostra industria e i nostri servizi attendono per affrontare in modo innovativo le sfide del mercato globale.
 

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